Il nuovo corso
18 Giugno 2021LAP architettura: la rigenerazione territoriale che parte dagli affetti
10 Settembre 2022Architettura e ascolto così possono rinascere i borghi e le comunità
Ascoltare e condividere con i cittadini idee per progetti di rigenerazione urbana. Così sono nati progetti d’eccellenza in Abruzzo, grazie a uno studio di architetti nato dall’esperienza del sisma
È possibile coniugare architettura e ascolto dei cittadini per concretizzare sogni ed esigenze di chi vorrebbe rivedere viva la propria comunità, prima ancora che sia un borgo o una città.
Non è solo possibile, è una realtà che ha forma oggi in uno studio di professionisti che è nato dopo un evento disastroso come un sisma. Per la precisione quello del terremoto dell’Aquila del 2009, causa di 309 morti, 1600 feriti e 10 miliardi di danni calcolati.
Da quel trauma, nacque un’idea, che pareva utopistica e che invece ha permesso di portare a creare progetti di livello assoluto, quanto a innovazione, sostenibilità, bellezza e funzionalità. Pensiamo solo alla Scuola di Pacentro: un progetto per certi versi rivoluzionario, a cura di MCA – Mario Cucinella Architects, in collaborazione con LAP. Dietro questo acronimo c’è il Laboratorio di Architettura Partecipata, fondato nel 2015 e guidato da Daniel Caramanico, Federico Sorgi e Simone Esposito, supportati da una squadra di giovani progettisti, architetti, ingegneri.
Un team che ha collaborato a progetti importanti come la Scuola di Sora, progetto curato dal G124 il gruppo di lavoro sulle periferie coordinato da Renzo Piano, e ha progettato scuole, spazi pubblici, centri di ritrovo, aree di incontro. Diversi progetti sorgono in piccoli centri, alcuni dei quali annoverati tra i Borghi più belli d’Italia, ma a rischio abbandono.
LAP: cos’è e com’è nato
Il Laboratorio di Architettura Partecipata nasce dall’incontro e dalla collaborazione tra lo studio MCA – Mario Cucinella Architects) e VIVIAMOLAq, un’associazione di studenti di architettura e ingegneria dell’Università dell’Aquila nata appena dopo il sisma del 2009 con lo scopo di partecipare alla riprogettazione della città in modo volontario e no profit.
«All’epoca eravamo studenti di architettura e abbiamo subito il terremoto, ma quell’evento così traumatico ha provocato in noi la volontà di aprirci all’ascolto della popolazione – racconta Daniel Caramanico . Un approccio nato dalla constatazione che l’intervento post sisma de L’Aquila è stato improntato su un approccio fisico, materico, come se la città fosse costituita esclusivamente da edifici. Invece, la città è fatta di persone. Il terremoto non ha distrutto stabili, ma ha rotto legami sociali e umani nella stessa comunità. Da qui l’idea di approcciarci alla visione di ricostruzione non solo dal punto di vista materico ma anche immateriale, umano».
L’importanza di saper ascoltare
Il Laboratorio di Architettura Partecipata propone un nuovo modello di progettazione, partecipativo, che cresce e si plasma sull’ascolto dei cittadini, sulla volontà di ripartire dal basso, di ascoltare la comunità e di comprendere le loro esigenze. L’obiettivo è fare in modo che gli interventi sul territorio non siano percepiti come top-down ma risultino connessi alle esigenze e ai desideri delle comunità coinvolte, interpretando un bisogno condiviso.
La scelta di Daniel Caramanico, Federico Sorgi e Simone Esposito, all’epoca studenti – oggi architetti fondatori di LAP – ha implicato conseguenze non facili, la più importante l’abbandono temporaneo dell’università (che non ha voluto sostenerli nel progetto), dedicandosi totalmente all’ascolto della comunità. Una decisione che ha portato a scoperte inaspettate. «Secondo un sondaggio svolto da noi l’83% dei cittadini voleva delle panchine. Non avremmo mai immaginato che alla nostra intenzione di proporre loro la ricostruzione di scuole o edifici polifunzionali emergesse invece la voglia di contare sulla presenza di oggetti così semplici, ma carichi di significato». Da qui la scelta di ascoltare si rafforza e assume un rilievo più scientifico, coinvolgendo anche sociologi che hanno aiutato a comprendere questa volontà popolare: le panchine significavano uno oggetto attorno cui ritrovarsi, sedersi, fare socialità.
Architettura e ascolto: complessità e potenzialità
Così è nata LAP, una realtà che ha saputo mettere al centro la condivisione delle idee.
«Non è una scelta semplice, perché il rischio è che venga travisata come una iniziativa mirata a raggiungere il consenso. In realtà è tutt’altro: è uno strumento impegnativo, che rappresenta il coraggio di costruire i sogni e le esigenze di una comunità a partire dal progetto e provare a soddisfarli. È uno sforzo che implica uscire dallo studio, mettersi in gioco, incontrare la comunità, condividere le idee, in un confronto non facile ma fecondo, che riporta alle origini del valore fondante, se vogliamo politico dell’architetto. Ascoltare, capire e tradurre i loro suggerimenti in architettura, che significa anche fare delle scelte professionali. Quali criticità implica l’ascolto? La prima è che spesso incontriamo una forte indifferenza, uno scoraggiamento verso la politica e le scelte dei decisori e che ricadono sui cittadini. Quindi, il primo nostro intento è far capire l’importanza di questi processi di progettazione partecipazione e del contributo della stessa comunità. Un’altra criticità è che tra le persone c’è un’abitudine al brutto. Un esempio: per la scuola di Pacentro abbiamo organizzato prima di tutto una settimana dedicata alla partecipazione. In quel periodo abbiamo realizzato una mostra diffusa sulle scuole possibili, in Italia e nel mondo. Volevamo far sì che anche in un piccolo borgo come Pacentro che tra l’altro è tra i Borghi più belli d’Italia – si potesse realizzare una scuola innovativa. «La mostra è stata necessaria per proporre architetture moderne, sorprendenti nell’estetica, che stupissero la comunità che spesso non si aspetta che certe opere possano essere realizzate anche nel proprio piccolo borgo. Così è stato anche uno sforzo di avvicinare le persone all’architettura, che oltre alla funzionalità offre bellezza».
Sostenibilità ambientale: l’esempio della scuola di Pacentro
«La finalità di LAP è un’architettura che esprime per vari aspetti una finalità di sostenibilità sociale. Ma l’intento dietro all’architettura partecipata è anche di puntare alla sostenibilità ambientale: «la nostra idea implica non solo l’ascolto delle persone, fondamentale, ma anche quello del territorio, a un legame con esso. Significa per questo andare sul posto e farci “suggerire” dall’ambiente gli aspetti progettuali». L’esempio perfetto è la scuola di Pacentro, un edificio nZEB, con un tetto giardino la cui copertura assolve al giusto ombreggiamento, ma garantisce anche il giusto isolamento termo-acustico.
«È solo uno dei dettagli che fanno di questo progetto un’eccellenza. È stata perfino creata una collina naturale per proteggere la scuola dai venti freddi del nord. «La tecnologia c’è ed è la benvenuta, ma molto è il risultato anche dagli stimoli dell’ambiente e da dettagli progettuali che hanno portato alla realizzazione di questo progetto», evidenzia Caramanico.
I prossimi passi: dal Borgo Invisibile al Ponte sul Cielo
L’architettura partecipata passa anche dal “Borgo Invisibile di Roccamontepiano“, un suggestivo progetto di partecipazione urbana. «Durante “La Passeggiata di Comunità” siamo andati a visitare l’area dove sorgeva il borgo, per la gran parte distrutto dalla frana del 1765. È stato un sopralluogo che, anziché farlo con l’ufficio tecnico come di prassi, è stata l’occasione per coinvolgere il territorio fisicamente», racconta l’architetto.
I tre fondatori hanno avuto la fortuna e il privilegio di collaborare e lavorare per un anno a fianco di architetti come Mario Cucinella e Renzo Piano. Uno dei tanti insegnamenti e ricordi che hanno di questo piacevole incontro è un principio alla base del loro lavoro: l’architetto non è un mestiere esclusivamente tecnico, ma dato che è strettamente legato alla società ha una responsabilità sociale nel costruire il benessere della comunità.
Così il classico sopralluogo diventa occasione di ascolto della popolazione, anche camminando insieme ai cittadini. Per questo, d’accordo col sindaco e con la stessa amministrazione, si è deciso di coinvolgere la comunità a partire da questo momento.
«Camminando con loro abbiamo avuto modo di “misurare” lo spazio, le loro richieste e di capire il legame affettivo con i luoghi che si vanno a visitare». Da tutto questo insieme LAP crea la “mappa affettiva”: in base a quanto abbiamo raccolto, nel tempo trascorso, ai racconti e ricordi, si va a tracciare criticità e potenzialità anche astratte del posto e del progetto.
«Nello specifico, a Roccamontepiano ci hanno chiesto un masterplan per riattivare il borgo. Lo abbiamo chiamato Borgo Invisibile perché Roccamontepiano non ha più da tempo un centro storico. La sua scomparsa traumatica ha provocato effetti collaterali tra i quali una comunità un po’ disunita. Da qui la richiesta del primo cittadino: un’idea per legare le persone e farle sentire e farle sentire appartenenti a un’unica comunità». Dopo il sopralluogo ora è il momento di un questionario, che cerchi di raccogliere dati soggettivi e oggettivi, e di interviste qualitative. Da qui passerà la realizzazione di un progetto.
Tra i lavori portati avanti da LAP e a buon punto c’è quello chiamato Ponte sul Cielo (img in apertura). Ha luogo a Pizzoferrato, un altro dei borghi più belli d’Italia, che però è a rischio abbandono. Da qui l’idea di promuovere il cambiamento attraverso la pratica della progettazione partecipata, che ha portato a caratterizzare Pizzoferrato come “il Borgo del volo”. Il progetto del “Ponte sul Cielo” prevede due terrazze che si slanciano verso il maestoso paesaggio che avvolge il Borgo e che, per rafforzare il senso di leggerezza, si caratterizza con un pavimento trasparente.